Ai confini del parco, montagne dove il wilderness è ancora "quasi" vero

Monte Irto e Serra Matarazzo


Un’escursione molto panoramica lungo il confine del Parco Nazionale tra il Lazio e l’Abruzzo fino a raggiungere il Monte Irto formidabile belvedere sull’area di riserva integrale, dalla Camosciara sino al Monte Petroso ed oltre. Il punto di partenza è il valico di Forca d’Acero dove sono il rifugio del Parco ed una locanda ristoro, ci si può preparare in uno slargo accanto alla strada e poi ci si infila direttamente nel bosco in direzione sud-est prendendo rapidamente quota nella fitta faggeta. Si sale a vista seguendo nella parte iniziale una sequenza di segni rossi sugli alberi (forse sotto la neve ci sarà anche stata una traccia di sentiero) sino a portarsi al limitare del bosco dopo di che si esce allo scoperto proprio di fronte alla cima che precede il Monte Panico; si continua a salire fuori dal bosco con bei panorami in direzione del Marsicano e della piana di Pescasseroli ed in breve si raggiunge l’inizio dell’ampia cresta dove è posto un pilone. Una volta arrivati sulla dorsale la vista si apre in ogni direzione ed appare il tutto il suo sviluppo il lungo percorso di cresta che dovremo coprire fino a raggiungere il Monte Irto: interessanti gli scorci sul Monte Amaro di Opi e verso Forca Resuni ed il Monte Petroso, ancora se questi ultimi ancora molto lontani. Appena guadagnata la linea di cresta si scende subito ad una selletta cosparsa di vecchie barriere in legno poste per trattenere la neve in corrispondenza di un canale che scende ripido verso la strada sottostante che sale a Forca d’Acero dal versante laziale, si rimonta quindi il breve ma ripido pendio che porta sulla cima del Monte Panico da cui, nemmeno a dirlo, si godono dei bellissimi panorami. L’avere sempre la visuale aperta in ogni direzione è un pò la caratteristica di questa escursione che consente di acquisire una buona conoscenza visiva di quest’area del Parco. Lasciato alle spalle il Monte Panico si prosegue sulla comoda dorsale con qualche sali scendi sino a portarsi di fronte alla Serra Matarazzo che percorreremo al ritorno mentre sulla destra, sotto di noi, si può osservare la Valle Inguagnera; via via che si procede diviene sempre più evidente l’ometto di pietre che segna la cima del Monte San Nicola (o meglio di quello che pensavamo fosse il Monte San Nicola) da cui la dorsale si interromperà per scendere al Valico Inguagnera. Dopo aver percorso circa due chilometri sulla comoda dorsale si raggiunge il grosso mucchio di pietre con sopra riportato il nome della cima e la quota, anche se a ben guardare la cartografia il Monte San Nicola dovrebbe effettivamente trovarsi poco più avanti ad una altitudine di 1900 metri. Si perde un pò di quota in direzione est fino a raggiungere i bei prati del Valico Inguagnera, località amena e punto d’incontro tra il sentiero che sale dalla valle omonima con quello che proviene fino alla Val Fondillo: anche questo, come altri passaggi d’alta montagna, è un luogo particolare non solo per l’ambiente ma anche per la storia che ogni valico in quota porta con sé avendo visto il passaggio di chissà quante genti con le loro merci da scambiare tra i villaggi da una parte all’altra della montagna. Dopo una breve sosta si riprende il cammino trovandosi la strada tra una miriade di massi in direzione della sella che si trova tra la massima elevazione della Serra delle Gravare, che appare impervia sulla sinistra, e l’inizio delle Serra Matarazzo che sale più graduale sulla destra; superato un primo tratto a vista si intercetta una ripida traccia che punta direttamente alla sella su cui si giunge in breve tempo e di lì si può salire poco più alto verso l’ometto a quota 1960 metri da cui ha inizio la Serra delle Gravare che si sviluppa verso est fino al Monte Irto. Da questo punto molto panoramico si ha tra l’altro una bella veduta d’insieme sulla Valle Inguagnera. Ritornati alla sella ci si avvia alla lunga traversata della Serra delle Gravare mantenendosi sulla cresta dove di quando in quando si incontrano tracce accennate di sentiero; si cammina così, sospesi su un crinale molto panoramico per poi scendere verso un altro importante valico che mette in comunicazione il versante abruzzese con quello laziale, il Valico delle Gravare. Poco sotto valico vi è un masso con alcune indicazione dei sentieri che attraversano questo luogo mentre appena più in basso si trova un piccolo specchio d’acqua in questa stagione completamente ghiacciato che dà un ulteriore tocco di interesse alla nostra escursione; dopo una breve sosta si procede oltre il valico riguadagnando un pò di quota e mantenendosi alti sulla cresta per evitare numerosi sali e scendi in altrettante piccole vallette mentre il Monte Irto dopo tanto camminare inizia ad essere finalmente più vicino. Ancora qualche dosso da superare in un ambiente selvaggio che ha tutta l’aria di essere ben poco frequentato e con un’ultima salita si guadagna la cima tondeggiante della nostra meta, punto più remoto dell’escursione: siamo finalmente al cospetto della zona più selvaggia e segreta del Parco, indubbiamente interessante dal punto di vista paesaggistico ma anche misteriosa perché interdetta ad ogni forma di escursione per salvaguardare la fauna che qui vive e si riproduce. Salire sino al Monte Irto rappresenta dunque l’unica opzione per osservare da vicino queste montagne da una prospettiva che è molto diversa rispetto a quanto è invece possibile vedere sul ben più frequentato versante opposto percorrendo i sentieri che salgono dal Lago di Barrea fino a Forca Resuni. Sotto di noi c’è la profonda incisione della Valle dei Tre Confini e proprio di fronte il tratto che dal Monte Capraro scende fino alla Camosciara, mentre a sud la vista spazia con chiara visuale fino a La Meta e alle Mainarde … insomma questo Monte Irto è proprio un luogo dal quale non si vorrebbe dover andare e così decidiamo di dedicare un pò più di tempo all’osservazione, peccato solo non aver portato con se il binocolo magari, chissà, si poteva fare qualche avvistamento interessante. Per il ritorno non ci sono alternative al ripercorrere i propri passi attraversando per intero la Serra delle Gravare fino a ripotarsi sulla sella sotto le pendici della Serra Matarazzo la cui cima a quota 2.007 metri si raggiunge in breve lungo il ripido crinale nord-est; si può affrontare direttamente la salita superando la quota 1.983 da cui poi calare ad una selletta e quindi guadagnare la vetta oppure, se si vuole salire più gradualmente, si può aggirare a mezza costa iul versante sud lungo una traccia evidente (qualche segno a terra) che in pochi minuti conduce subito sotto l’ultimo tratto di salita che arriva in vetta. Sulla cima si trova un ometto vistoso fatto di pietre lisce e schiacciate fatte a mò di lastricato (in effetti ce ne è una gran quantità tutto attorno), abbastanza inusuali per queste montagne calcaree, ed all’interno dell’ometto una piccola edicola con una rappresentazione sacra in miniatura che ha l’aria di essere lì da molte stagioni. Dal punto più alto della Serra Matarazzo si ha una buona veduta sull’insieme dell’escursione fatta e sul tratto in discesa che rimane da percorrere per ritornare a Forca d’Acero: molto interessante è in particolare il colpo d’occhio sulla cresta della serra che scende verso occidente facendo da spartiacque tra la Valle Inguagnera e la Valle Lattara. Per il ritorno alla Valle Inguagnera abbiamo seguito il crinale che si affaccia sulla vallata sino a raggiungere un tratto in cui la linea di cresta si interrompe (quota circa 1800 metri) presentando un ampio varco da cui è possibile calarsi verso il fondo attraversando una rada macchia di bassi alberelli; pur se coperte dalla neve erano intuibili tracce di sentiero che senza difficoltà si abbassano di un centinaio di metri andando ad intercettare il sentiero P3 che attraversa sul fondo tutta la vallata e raggiuntane la parte più in basso (alcuni recinti per gli animali realizzati con muretti a secco) con un’ampia ansa a nord-ovest in lieve salita conduce fino alla strada asfaltata che sale al valico di Forca d’Acero distante a quel punto poco più di un chilometro. Volendo dare una valutazione di sintesi a questa escursione direi proprio che è da “10 e lode” per tanti buoni motivi: anzitutto perché quasi tutto il percorso si svolge in cresta tra mutevoli panorami su alcune delle aree più belle del Parco attraversando ambienti solitari fino a raggiungere il Monte Irto da cui si hanno punti vista unici sulla zona di riserva integrale; il ritorno con la deviazione per la Serra Matarazzo consente infine di ampliare la conoscenza sul questo tratto del versante laziale del Parco. Complessivamente si percorrono venti chilometri con circa 1.300 metri di salita dovuti ai numerosi sali scendi attraverso le tante cime toccate nell’escursione.